Il treno va.
Una di quelle mattine così, che fuori faceva caldo, non c'è stato bisogno di mettere i guanti, e non hai voglia di metterli soltanto per attaccarti al gancio della metropolitana, tanto sono soltanto tre fermate. Non t'importa del passamano unto, stamattina. L'ora è quella, che la metro ci serve in tanti, e siamo tutti dentro.
Siamo in cinque intorno al palo di sostegno, belli stretti, parliamo di una piazzetta dove c'è qualcosa di nuovo da vedere, piazza Tito Lucrezio Caro.
Tito Lucrezio Caro? Mai sentita.
Già dov'è?
Verso Beatrice d'Este.
Uhm.
Sai dove c'è quella rotatoria che se giri a sinistra poi passi il semaforo e sei alla Bocconi?
Quella col giardino immezzo?
Sì.
Allora sui viali.
Sì.
Più verso Sabotino, diciamo.
Sì, dove incrocia il tram nuovo.
Uhm.
Quando arrivi allo slargo che dall'altra parte c'è il... il... sai quel locale mezzo discoteca che ci fanno anche i concerti?
Ma quale?
Non mi viene in mente il nome. Quello con l'insegna argentata. Diciamo la parallela alla via dove c'è la Centrale del Latte.
Ma tu dici via Porta?
Mah... veramente non so come si chiama.
Sì, sì, dev'essere quella.
Insomma lì in fondo, prima del benzinaio che copre il Paradise, che non si chiama il Paradise, ma perora mi viene in mente non so perché il Paradise, forse perché il nome del locale comincia con la P, sì, mi pare proprio che comincia con la P. Lì giri a destra, segui quella stradina piccola e sconosciuta, dopo un centinaio di metri si apre una piazza che è Tito Livio Caro.
Ero appena all'inizio del mio viaggio detto alla luna, cioè quello nel quale, come avevo scritto io, non avevo accesso alla rete.
Questa conversazione fu forse la prima leggera presa di coscienza, la prima incrinatura del nuovo mondo.
Ci abbiamo messo tre fermate e più, di parlare fitto fitto, soltanto per farci tutti un'idea approssimativa di un posto che comunque, per raggiungerlo, avremmo poi dovuto ricontrollare sul giornale o sullo stradario. Di un parlare fitto fitto della vaghezza - e non sto recriminando, ero io quello che non ricordava i nomi, che dava le indicazioni al suo meglio, per vicinanza e approssimazione, perché io percorro la città così, come i muli. Con pochissimi nomi di strade a mente, e invece tutta una serie di svolte a quel bar coi tavolini liberty fuori, dopo la piazza col parcheggio sotterraneo eccetera eccetera.
Quando in una conversazione in rete, un semplice clic avrebbe fatto chiarezza e ci avrebbe permesso di parlare di quello di cui volevamo parlare, invece che perdere tempo in facili istruzioni stradali.
Già. Ma forse il punto è proprio questo: di cosa avremmo voluto parlare e perché ne parlavamo così, in forma di approssimazioni urbane? Quando mi sarebbe bastato un accesso alla rete, da un palmare qualsiasi, per chiudere l'argomento, pensavo.
Intanto la mia attenzione era attratta anche da un ragazzo poco più in là nella carrozza.
Uno con lo sguardo attento.
Tutto un insieme che non saprei spiegare bene, ma che attira l'attenzione. Uno che in quella routine e piccola folla, al contrario di tutti noi, ancora guarda.
Mentre la mia mente annaspa tra nomi di vie e strategie di orientamento urbano forse inadeguate, mi prende di sorpresa un sentimento per lui.
Mi dispiace per lui. Non lo conosco affatto, non l'ho mai visto, non so nulla di lui, ma so che ha qualcosa che io ho già avuto. Di cui pare mi dispiaccia.
(Strategie di orientamento urbano inadeguate, ma soltanto in un contesto verbale di spiegazioni, naturalmente, perché usarle per muoversi, io mi ci muovo benissimo. Nella mia e in tante altre città :-) .
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