Sto pedalando in salita nella foresta di Taillude, tra Cogolin e Collobrieres, pesto con forza sui pedali a ritmo regolare, guardo il piccolo tachimetro sul manubrio che segna 19 km orari, vedo l'ombra di Christian che mi segue, e so che un po' sta soffrendo.
Conosciamo molto bene questa salita ormai, l'abbiamo fatta insieme tante volte, e molto bene ci conosciamo tra noi, siamo abituati a farla ai 17 km all'ora, lui in testa e io dietro, quindi so che quello sarebbe il suo passo e so che lo sto costringendo ad andare un pelo più forte di quanto vorrebbe.
So che sta soffrendo, ma che non mollerà.
Sono anch'io al limite, ovviamente, ma in un punto al suo interno ancora confortevole, quindi riesco a distaccarmi dalla strada e dalla pedalata e dal mio compagno, in una di quelle fantastiche reverie un po' ipnotiche, indotte credo dalle endorfine, uno dei piaceri che secondo me la bicicletta da strada, che scorre sull'asfalto col minimo attrito possibile, incoraggia.
Come se lo pescassi da un paniere di specialità, mi metto a ruminare un pensiero che quest'estate ho avuto di frequente: chissà perché ho smesso di scrivere ruote sottili; seguito dall'incoraggiamento: riprendilo!
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