Ha ragione Samuele a scrivere tutto un post, per dire che una bella foto è una bella foto, indipendentemente da quanto bene riesci a vederla, da quante sfumature ti sono disponibili, se hai uno schermo buono o meno?
Prendi Cartier Bresson, per esempio, dice Samuele nel post, per quanto male vedi le sue foto, fanno colpo comunque. D'accordo, mi metti davanti un genio, darti ragione sembra facile. Il genio del momento decisivo.
Sono sicuro che anche oggi sono state scattate parecchie foto di "momenti decisivi", con tutte le fotocamere che ci sono in giro, e la disponibilità a usarle, ma per qualche ragione non tutti i momenti decisivi sembrano davvero "decisivi". I Cartier Bresson restano pochi.
Lasciamo da parte il discorso un po' diffidente sui momenti di CB, se fossero tutti spontanei o se invece qualcuno non fosse costruito. Qui non importa.
Quello che secondo me li rende decisivi, è che sia oggi, che ieri agli occhi dei suoi contemporanei, i suoi momenti contengono lo spirito di un'epoca; cioè l'essenziale che è caratteristico di quella e non di un'altra, ma nello stesso tempo contiene anche degli elementi umani che appartengono a qualsiasi epoca. Una sintesi perfetta, che fa l'interesse, o la bellezza se vuoi, di una foto. L'"essenziale caratteristico" appartiene all'oggetto, però, non al metodo, ecco perché non tutti i momenti decisivi lo sono davvero :)
Delle sue foto, la mia memoria conserva soprattutto quella della curva di uno stadio americano, con l'ampio parcheggio dietro, pieno di macchine - che purtroppo non sono riuscito a trovare in rete per fartela vedere.
Oggi ci rendiamo conto che lui aveva visto e sintetizzato in una sola immagine, i problemi del traffico e il gusto per i grandi raduni, che sono tipici della vita contemporanea, che allora iniziavano appena, e che i suoi contemporanei riconoscevano, evidentemente, anche se non credo avrebbero saputo dire esattamente perché.
A parte la possibilità di trattenere la luce in un fotogramma, il medium fotografico non può fare molto per te, se hai quell'acutezza di visione. Non hai veramente bisogno di chiedergli tanto: ti basta che registri.
Basta però che cambi genio, prendi Ansel Adams, o lo stesso Richard Avedon, o Annie Leibovitz, ma perfino Diane Arbus che in apparenza appartiene al filone di quelli che gli basta che la fotocamera registri, per accorgerti che la visione dell'originale aggiunge moltissimo all'esperienza di guardare le loro foto, soprattutto se ne hai visto soltanto delle riproduzioni scadenti. E' proprio un'altra cosa.
Il motivo è molto forte, secondo me: insieme a quel viso, a quel pezzo di natura americana, alla personalità di una celebrity, l'autore vuole parlarti anche dell'esperienza personale di trovarsi a contatto con quei fenomeni, e vuole parlarti della sua ammirazione, conoscenza e riconoscenza per una delle creazioni dell'ingegno umano, la fotografia, che a loro sembra straordinaria!
Supponiamo che tu non conosca Avedon di fama: vedi una debole riproduzione di un suo ritratto, quello che vedi è la foto di un viso, come ce ne sono tante, ogni giorno, anche belle se vuoi, ma niente di particolare. E' la visione dell'originale, con la raffinatezza con cui sono trattate tutte le possibilità offerte dal mezzo fotografico, raffinatezze di cui non ti accorgi ma che hanno effetto su di te, e che sono tali proprio in quanto non è necessario che tu le registri, che ti regalano un istante in cui vale la pena, senza che tu faccia nessuno sforzo, di guardare cos'hai davanti.
Perchè ciò succeda, ogni elemento dell'immagine deve parlare, perfino il bianco di un ritratto, e deve dire la cosa giusta, non deve usare trucchi, dev'essere necessario, non risultare forzato. Parlare significa, ad esempio per il bianco, che la sua relazione col contorno del ritratto dev'essere utile e naturale, avere una ragione, non essere un semplice trucco per sottolineare i contorni più facilmente. Invece trovo che, per esempio, troppe volte un viso anche molto interessante, venga rovinato dall'intenzione o dall'arroganza dell'autore, come su Flickr ne vediamo tanti, di dirti: guarda che faccia, forte no! Ed è questo abuso dell'oggetto, questa arroganza del possesso della tecnologia, che impedisce all'autore di rendersi conto che un ritratto non è soltanto una faccia dentro una cornice. Che per ogni faccia è difficile stare dentro una cornice, non importa se col pieno consenso per il ritratto. Perché una foto è un attimo, ma di quelli che restano. Quella difficoltà dev'essere aiutata a esserci, sottile e leggera, perché compaia senza imporsi. Allora sì che una sfumatura ti permette di vedere tutto, ma proprio tutto di quell'esperienza.
Sono sicuro che se io amassi Cartier Bresson, saprei trovarti perfino nelle sue foto, in apparenza così indifferenti alla qualità della riproduzione, la necessità di vederle bene. Lo ammiro, invece, ma non riesco ad amarlo.
Forse perché non sono mai andato a vederlo in originale :)
Adesso mi tocca anche un altro post per chiarire un po' meglio quali sono e cosa sono per me le sfumature di cui parlo, che dai commenti ho l'impressione di aver generato un po' di confusione.
Prendi Cartier Bresson, per esempio, dice Samuele nel post, per quanto male vedi le sue foto, fanno colpo comunque. D'accordo, mi metti davanti un genio, darti ragione sembra facile. Il genio del momento decisivo.
Sono sicuro che anche oggi sono state scattate parecchie foto di "momenti decisivi", con tutte le fotocamere che ci sono in giro, e la disponibilità a usarle, ma per qualche ragione non tutti i momenti decisivi sembrano davvero "decisivi". I Cartier Bresson restano pochi.
Lasciamo da parte il discorso un po' diffidente sui momenti di CB, se fossero tutti spontanei o se invece qualcuno non fosse costruito. Qui non importa.
Quello che secondo me li rende decisivi, è che sia oggi, che ieri agli occhi dei suoi contemporanei, i suoi momenti contengono lo spirito di un'epoca; cioè l'essenziale che è caratteristico di quella e non di un'altra, ma nello stesso tempo contiene anche degli elementi umani che appartengono a qualsiasi epoca. Una sintesi perfetta, che fa l'interesse, o la bellezza se vuoi, di una foto. L'"essenziale caratteristico" appartiene all'oggetto, però, non al metodo, ecco perché non tutti i momenti decisivi lo sono davvero :)
Delle sue foto, la mia memoria conserva soprattutto quella della curva di uno stadio americano, con l'ampio parcheggio dietro, pieno di macchine - che purtroppo non sono riuscito a trovare in rete per fartela vedere.
Oggi ci rendiamo conto che lui aveva visto e sintetizzato in una sola immagine, i problemi del traffico e il gusto per i grandi raduni, che sono tipici della vita contemporanea, che allora iniziavano appena, e che i suoi contemporanei riconoscevano, evidentemente, anche se non credo avrebbero saputo dire esattamente perché.
A parte la possibilità di trattenere la luce in un fotogramma, il medium fotografico non può fare molto per te, se hai quell'acutezza di visione. Non hai veramente bisogno di chiedergli tanto: ti basta che registri.
Basta però che cambi genio, prendi Ansel Adams, o lo stesso Richard Avedon, o Annie Leibovitz, ma perfino Diane Arbus che in apparenza appartiene al filone di quelli che gli basta che la fotocamera registri, per accorgerti che la visione dell'originale aggiunge moltissimo all'esperienza di guardare le loro foto, soprattutto se ne hai visto soltanto delle riproduzioni scadenti. E' proprio un'altra cosa.
Il motivo è molto forte, secondo me: insieme a quel viso, a quel pezzo di natura americana, alla personalità di una celebrity, l'autore vuole parlarti anche dell'esperienza personale di trovarsi a contatto con quei fenomeni, e vuole parlarti della sua ammirazione, conoscenza e riconoscenza per una delle creazioni dell'ingegno umano, la fotografia, che a loro sembra straordinaria!
Supponiamo che tu non conosca Avedon di fama: vedi una debole riproduzione di un suo ritratto, quello che vedi è la foto di un viso, come ce ne sono tante, ogni giorno, anche belle se vuoi, ma niente di particolare. E' la visione dell'originale, con la raffinatezza con cui sono trattate tutte le possibilità offerte dal mezzo fotografico, raffinatezze di cui non ti accorgi ma che hanno effetto su di te, e che sono tali proprio in quanto non è necessario che tu le registri, che ti regalano un istante in cui vale la pena, senza che tu faccia nessuno sforzo, di guardare cos'hai davanti.
Perchè ciò succeda, ogni elemento dell'immagine deve parlare, perfino il bianco di un ritratto, e deve dire la cosa giusta, non deve usare trucchi, dev'essere necessario, non risultare forzato. Parlare significa, ad esempio per il bianco, che la sua relazione col contorno del ritratto dev'essere utile e naturale, avere una ragione, non essere un semplice trucco per sottolineare i contorni più facilmente. Invece trovo che, per esempio, troppe volte un viso anche molto interessante, venga rovinato dall'intenzione o dall'arroganza dell'autore, come su Flickr ne vediamo tanti, di dirti: guarda che faccia, forte no! Ed è questo abuso dell'oggetto, questa arroganza del possesso della tecnologia, che impedisce all'autore di rendersi conto che un ritratto non è soltanto una faccia dentro una cornice. Che per ogni faccia è difficile stare dentro una cornice, non importa se col pieno consenso per il ritratto. Perché una foto è un attimo, ma di quelli che restano. Quella difficoltà dev'essere aiutata a esserci, sottile e leggera, perché compaia senza imporsi. Allora sì che una sfumatura ti permette di vedere tutto, ma proprio tutto di quell'esperienza.
Sono sicuro che se io amassi Cartier Bresson, saprei trovarti perfino nelle sue foto, in apparenza così indifferenti alla qualità della riproduzione, la necessità di vederle bene. Lo ammiro, invece, ma non riesco ad amarlo.
Forse perché non sono mai andato a vederlo in originale :)
Adesso mi tocca anche un altro post per chiarire un po' meglio quali sono e cosa sono per me le sfumature di cui parlo, che dai commenti ho l'impressione di aver generato un po' di confusione.
Io ho ben presente quali siano le sfumature del quali parli: ho avuto la fortuna di assistere alla tua presentazione in un recente barcamp mentre illustravi le tue foto in bianconero. La spazzatura in primo piano, lo sfondo con i grattacieli, ricordi?. E ho capito. E sono assolutamente d'accordo con te per quanto concerne la bellezza delle sfumature. Ti faccio un esempio molto semplice. Ho visto tante volte la Guernica di Picasso in foto, senza riuscire a capire perchè venisse definito un capolavoro. Poi ho avuto la fortuna di ammirarlo dal vivo, a tre metri di distanza, senza vetri davanti: e sono rimasto come pietrificato. E' un quadro incredibile, per dimensioni (è gigantesco e nessuna riproduzione riuscirà mai a darne un'idea) e qualità dei particolari: ogni centimetro quadrato ha un significato e una cura dei particolari che in foto non si possono capire. Ma questo non mi toglie dalla testa che il 99% delle foto che osservo sul monitor del mio computer sono assolutamente giudicabili e comprensibili al di là delle sfumature; poi siamo sicuramente d'accordo sul fatto che ci sono foto e foto. Il fotogiornalismo (del quale Cartier-Bresson è stato il padre) non ha bisogno di sfumature mentre un ritratto di Avedon vive proprio di quelle. Il nostro pensiero differisce semplicemente su quale valore dare alle sfumature: io penso che tu stia esagerando. Sono importanti ma non vitali e mai mi straccerò le vesti perchè qualcuno vede una mia foto con una risoluzione 1024x768 (orrore!!).
Scritto da: Samuele | 13/01/2009 a 16:39
Io, per esempio, amo Bresson (e ti consiglio di vederlo "dal vivo" perchè merita molto), però il primo paragone che mi viene in mente riguardo a questa discussione è quello con la musica (argomento nel quale sono molto più ferrata...) e credo che anche un disco dovrebbe essere sempre ascoltato nella condizione migliore (cioè se non in studio, almeno in una camera adatta e con due casse molto buone) per poter apprezzare realmente le scelte dell'artista che anche in quest'ambito sono fatte di sfumature, impercettibili, ad esempio, con l'autoradio.
E' chiaro che puoi amare un artista al volo, ascoltando la melodia di massima, ma lo adoreresti se sentissi veramente il suo disco nel modo in cui lui l'ha voluto registrare, con tutti i particolari del caso. Anche nella musica, come nella fotografia, la tecnologia ha portato un abbassamento del livello generale della qualità della fruizione, dovuto in parte allo scaricamento/masterizzazione dei supporti e all'ipod e company...
Paola
Scritto da: laPaolina | 13/01/2009 a 16:44
@lapaolina: non è colpa dell'ipod o del digitale in se. E' che la bassa fedeltà è più economica e molto spesso la disponibilità è più importante dell qualità.
Scritto da: Luca Sartoni | 13/01/2009 a 16:47
Chiaro, però il supporto ti porta a perdere il momento di ascolto "dedicato" in un luogo adatto, esattamente come tramite il computer tu guardi molte più foto e in un modo meno attento.
Scritto da: laPaolina | 13/01/2009 a 16:53
Il discorso è interessante. Io, per esempio, non capisco niente di musica. Ascolto e basta e non mi accorgo di queste differenze. Probabilmente (anzi sicuro) succede così anche con la fotografia.
Ma insisto: per aprezzare Volare (faccio il primo esempio stupido) cantata da Modugno e dire che si tratta di una canzone splendida non mi serve ascoltarlo dal vivo oppure in camera dicoequalcosa con il miglior impianto Hi-Fi del mondo. Mi basta il più scadente dei riproduttori MP3.
Che poi forse sto/stiamo uscendo dal discorso base...
Scritto da: Samuele | 13/01/2009 a 18:04