Il punto di vista di Silvano (nei commenti al post precedente), inquadra bene la situazione: la riproduzione delle fotografie e delle opere d'arte in genere è sempre stata problematica, cioè si vedono male rispetto agli originali. E' una di quelle cose che è così perché è così, è sempre stato accettato, tutti lo sanno e ne tengono conto. Meglio così che niente, del resto.
Ci sono diversi gradi di corruzione della riproduzione: dalla fotocopia, che è il più basso, ai libri stampati in Italia, davvero miseri rispetto a quelli stampati in USA, e potrei portare un sacco di esempi se non avessi paura di rompere il filo del discorso.
Per quanto però io abbia visto le foto di Ansel Adams stampate su libri curati da lui stesso, quindi di qualità, l'esperienza delle stampe originali è stata una specie di festa, una rivelazione, un'epifania :) Con gli originali è sempre così.
Quando parlo di un fotobarcamp, questa è l'esperienza che mi piacerebbe procurare.
A mia volta non sono per niente ingenuo rispetto alle riproduzioni delle mie foto, né credo di avere un atteggiamento snob: già quando passo dal raw al jpeg per metterle in rete, sono consapevole di una perdita di qualità, che con l'esperienza ho imparato a controllare fino ad un certo punto - quando ci lavoro dò alle mie foto quella che chiamo una finitura da internet, che di solito è molto più scura e dai colori più esasperati di quanto farei normalmente.
Non porterei i miei risultati come esempio, ma posso dire tranquillamente di essere piuttosto soddisfatto delle competenze che credo di aver acquisito. C'è una certa tara che, come ricorda Silvano, va pagata senza discutere.
Ok.
L'affermazione prevalente nei commenti, sembra la regolazione dei colori rispetto ai vari monitor, programmi, schede grafiche e trasmissioni di rete. Per quanto i colori siano in effetti un limite delicato, come ricorda per esempio Tambu che ha paura di perdere i suoi calibri nel passaggio da un sistema ad un altro, quello che a me ha preoccupato vedendo le foto di Palmasco su un MacBook nuovissimo, cioé su un prodotto di fascia media di un marchio specializzato nella grafica e nella fotografia, uno standard nel campo, è la riproduzione delle sfumature.
Quello è il punto dove la corruzione della riproduzione mi fa veramente paura, perché è la parte della foto alla quale sono più sensibile, quella nella quale secondo me sta il valore particolare di una foto, quella dove sicuramente si concentra la maggior parte del mio lavoro di editing.
Se tutto questo si perde, come si perde già su un computer di fascia media, come faremo noi appassionati di fotografia a parlare agli altri?
E' un discorso di sensibilità e di visione, ma anche di abitudine alla visione.
Ecco perché, ripeto, è l'esperienza che mi piacerebbe procurare.
All'inizio del 2009, cioé adesso, sono stato al Gugghenheim Museum di NY, dove ho visto la mostra fotografica di Catherine Opie.
In una delle sale spiccavano delle grandi stampe in b/n, perfette per contrasto e chiarezza dei toni, dei grigi, dei neri, dei bianchi, delle luci delle ombre. Bellissime. Leggo la targhetta e sono stampe a getto d'inchiostro. Avvicinandomi ho notato che tutte le foto hanno invariabilmente una sfumatura magenta, oppure verde. L'una o l'altra, più spesso la magenta che in effetti si verifica più spesso quando in stampa si chiude la foto. Mi sono sentito in un certo senso rinfrancato. Perché se la sfumatura non riescono a eliminarla neanche loro, che sono il Gugghenheim, con le sue competenze e i suoi mezzi, allora le centinaia di stampe che ho buttato via io, forse vicine al migliaio, significano più un difetto del sistema attuale di stampa b/n a getto d'inchiostro, che un mio limite che non riuscivo a superare.
Il problema è che quelle stampe sono oggi al Gugghenheim, esibite come riproduzioni di fotografie a livello museale. E nessuno sembra accorgersi, o sentirsi disturbato, dalla sfumatura impercettibile, ma molto presente, che hanno.
Ecco perché, secondo me, un'esperienza comune della visione è molto necessaria, e mi piacerebbe procurarla. Per renderci più sensibili a queste cose, e lavorare insieme a cambiarle.
Su come fare il fotobarcamp, che pure è stato un tema frequente nei commenti, ci scrivo un altro post, magari, che qui sono già lungo :)
Ci sono diversi gradi di corruzione della riproduzione: dalla fotocopia, che è il più basso, ai libri stampati in Italia, davvero miseri rispetto a quelli stampati in USA, e potrei portare un sacco di esempi se non avessi paura di rompere il filo del discorso.
Per quanto però io abbia visto le foto di Ansel Adams stampate su libri curati da lui stesso, quindi di qualità, l'esperienza delle stampe originali è stata una specie di festa, una rivelazione, un'epifania :) Con gli originali è sempre così.
Quando parlo di un fotobarcamp, questa è l'esperienza che mi piacerebbe procurare.
A mia volta non sono per niente ingenuo rispetto alle riproduzioni delle mie foto, né credo di avere un atteggiamento snob: già quando passo dal raw al jpeg per metterle in rete, sono consapevole di una perdita di qualità, che con l'esperienza ho imparato a controllare fino ad un certo punto - quando ci lavoro dò alle mie foto quella che chiamo una finitura da internet, che di solito è molto più scura e dai colori più esasperati di quanto farei normalmente.
Non porterei i miei risultati come esempio, ma posso dire tranquillamente di essere piuttosto soddisfatto delle competenze che credo di aver acquisito. C'è una certa tara che, come ricorda Silvano, va pagata senza discutere.
Ok.
L'affermazione prevalente nei commenti, sembra la regolazione dei colori rispetto ai vari monitor, programmi, schede grafiche e trasmissioni di rete. Per quanto i colori siano in effetti un limite delicato, come ricorda per esempio Tambu che ha paura di perdere i suoi calibri nel passaggio da un sistema ad un altro, quello che a me ha preoccupato vedendo le foto di Palmasco su un MacBook nuovissimo, cioé su un prodotto di fascia media di un marchio specializzato nella grafica e nella fotografia, uno standard nel campo, è la riproduzione delle sfumature.
Quello è il punto dove la corruzione della riproduzione mi fa veramente paura, perché è la parte della foto alla quale sono più sensibile, quella nella quale secondo me sta il valore particolare di una foto, quella dove sicuramente si concentra la maggior parte del mio lavoro di editing.
Se tutto questo si perde, come si perde già su un computer di fascia media, come faremo noi appassionati di fotografia a parlare agli altri?
E' un discorso di sensibilità e di visione, ma anche di abitudine alla visione.
Ecco perché, ripeto, è l'esperienza che mi piacerebbe procurare.
All'inizio del 2009, cioé adesso, sono stato al Gugghenheim Museum di NY, dove ho visto la mostra fotografica di Catherine Opie.
In una delle sale spiccavano delle grandi stampe in b/n, perfette per contrasto e chiarezza dei toni, dei grigi, dei neri, dei bianchi, delle luci delle ombre. Bellissime. Leggo la targhetta e sono stampe a getto d'inchiostro. Avvicinandomi ho notato che tutte le foto hanno invariabilmente una sfumatura magenta, oppure verde. L'una o l'altra, più spesso la magenta che in effetti si verifica più spesso quando in stampa si chiude la foto. Mi sono sentito in un certo senso rinfrancato. Perché se la sfumatura non riescono a eliminarla neanche loro, che sono il Gugghenheim, con le sue competenze e i suoi mezzi, allora le centinaia di stampe che ho buttato via io, forse vicine al migliaio, significano più un difetto del sistema attuale di stampa b/n a getto d'inchiostro, che un mio limite che non riuscivo a superare.
Il problema è che quelle stampe sono oggi al Gugghenheim, esibite come riproduzioni di fotografie a livello museale. E nessuno sembra accorgersi, o sentirsi disturbato, dalla sfumatura impercettibile, ma molto presente, che hanno.
Ecco perché, secondo me, un'esperienza comune della visione è molto necessaria, e mi piacerebbe procurarla. Per renderci più sensibili a queste cose, e lavorare insieme a cambiarle.
Su come fare il fotobarcamp, che pure è stato un tema frequente nei commenti, ci scrivo un altro post, magari, che qui sono già lungo :)
ma siamo sicuri che le abbia stampate il Guggenheim? parlo da profano ovviamente. Per il resto, ribadisco due cose:
la prima è che se si fa sto fotobarcamp voglio esserci, anche senza portare foto.
la seconda è che sei una forza della Natura, e voglio invitarti ad alternare più spesso questi piacevoli interventi alle tue piacevoli fotografie. Sento che c'è grande fermento intorno alla fotografia, oggi, e non solo perché internet rende tutto più facile e le reflex costano poco e bla bla bla... :)
Scritto da: Tambu | 10/01/2009 a 18:59