Cronaca di un disagio.
Ero alla presentazione del libro che si chiama "La parte abitata della rete", di Sergio Maistrello, di cui molti hanno già parlato. C'ero andato per il titolo così bello, per le recensioni che ho letto.
E per i relatori. La Branca e Luca Sofri.
Dico subito che insieme a Sergio Maistrello sono stati bravissimi, hanno introdotto temi e provocazioni interessanti, mi hanno dato la parola molto più di quanto mi sia mai capitato in questo genere di situazioni, ed io l'ho usata nel pieno delle mie facoltà, in un clima aperto e intelligente, ed ho anche ricevuto risposte adeguate.
Eppure c'era qualcosa di soffocante nei tempi e nei modi della discussione. Di soffocante per le idee e per il tentativo di comprendere se lo strumento "rete" è specifico, e se sì in che senso. (In modo semplicistico io ho anche pensato che siccome non ho mai visto La Branca e Sofri ad un barcamp, il problema è quello: non sanno parlare barcamp :-)
La linea di fondo del disagio è, secondo me, che La Branca e Sofri hanno un'idea televisiva della rete. In parte esplicita nei loro discorsi di ieri, in parte più profonda, secondo me, di quanto loro stessi sappiano.
Per televisiva intendo sostanzialmente un mondo che compete per fare audience.
Così secondo loro la possibilità di esprimersi data dal mezzo internet, muore quando le cose che si esprimono sono miserabili - ininfluenti, non interessanti, che non fanno numeri d'ascolto.
Non c'è dubbio che in rete si possa fare audience, Wittgenstein il blog, per esempio, lo fa egregiamente. Non c'è dubbio che molta della produttività che spinge i contenuti su YouTube, sia caccia all'audience. Non c'è dubbio che anche in rete la circolazione del denaro ruoterà intorno a una qualche forma di audience. Non c'è dubbio. Però accanto al valore "audience", che appartiene alla cultura presente, introdotta dal mezzo televisivo, in rete c'è sicuramente un'esperienza di valore delle conversazioni che le è propria, che non appartiene agli altri medium, che si sta sviluppando accanto a quella dell'audience. Mi aspettavo che avremmo potuto cercare insieme di indicare su che cosa si basa.
Il disagio è qui.
Che la rete sia un medium diverso dagli altri, io credo non soltanto di saperlo, ma di viverlo ogni giorno in rete. So di averlo imparato negli ultimi 4 anni da blogger, e prima nei forum.
So di vivere meglio perché sono diventato e divento quello che imparo in rete.
So che le piccole conversazioni su temi lunari che ho fatto e faccio in rete, che non posso e non potrei fare nel giro delle mie conoscenze, mi proteggono e mi armano contro la parte oscura dei mass media, quel risvolto della medaglia che in sostanza deve sempre vincere, vendere, convincere. Cioè fare audience. Un risvolto negativo dal quale devo difendermi.
Non so se ti sei reso conto, per esempio, di quanto sia diventato difficile parlare, nel clima rilassato tra amici, di qualcosa che ti piace veramente, senza sentirti di colpo in uno studio televisivo a fare uno spot...
La mia domanda è: come posso tradurre la mia sensazione in termini condivisibili dagli altri? Su quali fondamenti posso tentare di difendere il mio caso, dall'intelligenza affilata e abituata all'audience, dei La Branca e dei Sofri?
Su quali fatti potrei poggiare le mie convinzioni? Cosa devo dire per non sentirmi più a disagio in casi del genere?
:-)
ieri pensai, era mentira tutta quella storia del parlare in rete, i posti dove imparai a muovermi -male- qua dentro. Pensai a te pensandolo, a Gino. Pensai, Palmasco -e scrisse Parlasco- si parlava sopra semplicemente, solo si ascoltava, felice come una banana. Poi pensai forse uno si parla sopra perché non lo ferma nessun orecchio. Adesso leggo questo e mi dico, ah, bene.
Ci fu quel capitolo di ruote sottili quando il ciclista dopo 7 anni coronando sempre cime, il re della bici battuta, plof, casca nell'influenza nell'ultimo momento
:)
Scritto da: calais | 11/05/2007 a 08:53
"Non so se ti sei reso conto, per esempio, di quanto sia diventato difficile parlare, nel clima rilassato tra amici, di qualcosa che ti piace veramente, senza sentirti di colpo in uno studio televisivo a fare uno spot..."
Si, si, si terribilmente! Figurarsi poi a parlare del proprio lavoro come di una passione da condividere (il mio, in parte lo é)...sembra che voglia vendere i miei servigi! Allora il blog in questo senso funziona meglio: io scrivo le mie sensazioni, quello che mi piace, lancio un argomento, poi se qualcuno vuole dire la sua, bene, sennò, pazienza...Ma i cosiddetti amici, quelli che il blog non ce l'hanno, nn sanno nemmeno che io provo ad esprimere la mia personalità anche attraverso il blog. Prova a dire a qualcuno che di blog nn se ne intende, "ho un blog": se ti va bene si gira dall'altra parte, sennò ti ride in faccia, perché avere un blog non é una cosa seria.
Ecco, discutiamo tanto di comunicazione, ma nella vita reale é sempre così difficile!(grazie Palmasco, ottimo spunto...)
ciao
Scritto da: paola | 11/05/2007 a 09:43