1. Spesso la nota che porta il suo cane al giardinetto.
La nota perché sul cancello c'è un cartello del Comune di Milano, molto visibile, con sopra il disegno di un cane, barrato da una striscia diagonale rossa: vuol dire che non sono ammessi i cani.
Com'è il suo cane?
Non saprebbe dirlo. Taglia media, colore chiaro, non particolarmente bello.
Lo riconoscerebbe se ne vedesse la foto?
Non credo.
Allora come fa a dire che la nota?
Lei ha un cappotto azzurro di lana crespa, una figura snella, sguardo miope, occhi azzurri e capelli lisci chiari.
Ha un'aria comoda e perbene, il cappotto così sofisticato ha attirato il suo sguardo una volta, ma forse l'ha notata perché con quell'aria comoda e perbene porta il cane dove non si potrebbe.
2. L'equilibrio nel quartiere, tra residenti col cane e altri residenti, è abbastanza armonico: quelli col cane si limitano a non pulire la merda lasciata sul marciapiede dai loro animali, gli altri stanno attenti a dove mettono i piedi, e sperano che i bambini piccoli non finiscano per terra.
In media ogni settimana lunghe strisciate di merda si trascinano sul marciapiede per una decina di metri, a indicare che qualche residente non è stato attento: oppure era un non residente che poi, sempre camminando, ha strofinato la suola a terra per pulirla.
Sarà la musica, come al solito, a rivelare il carattere stonato di certe armonie.
Sarà il tac/tac/tac, tac/tac/tac/ di un bastone bianco precisamente, col suo residente cieco al seguito, o cieco di passaggio, non residente.
Con mirabile adattamento e con notevoli sforzi d'apprendimento il non vedente ha imparato a muoversi da solo, ha memorizzato gli angoli e gli attraversamenti e i punti pericolosi, e gli ostacoli che non ha memorizzato perché mobili, ha imparato a sentirli col bastone.
La sola cosa che non riesce ad evitare sono le merde di cane, che sfuggono ai suoi limitati sistemi percettivi.
Torna a casa e si fa togliere dai familiari la merda dalle scarpe.
Un piccolo dispiacere, molto probabilmente, per persone dall'autonomia limitata e faticosamente conquistata, una dissonanza significativa nell'equilibrio del quartiere.
Ma non ci sono orecchie sintonizzate.
3. Il divieto di portare i cani in quel parco è stato messo probabilmente perché si tratta di un giardino piccolo, adiacente all'asilo del quartiere, e quindi molto frequentato da bambini in età di scuola materna.
Il giardino non potrebbe reggere l'impatto di cani e bambini allo stesso tempo, hanno probabilmente pensato in Comune, e scelto tra i due di vietarlo ai cani.
Una scelta comprensibile.
C'è anche un campo da calcetto tutto recintato, per gli adolescenti, e uno di basket in cemento con due canestri.
Per uno spazio così piccolo c'è tanta roba, ma purtroppo nel quartiere non ci sono molte alternative di verde.
Esattamente per questa ragione, la mancanza di altri spazi verdi, i residenti col cane portano qui i loro animali a fare i bisogni - quelli che non usano liberamente i marciapiedi.
La mattina ce ne sono decine.
Stupisce che nessuno abbia pensato di svitare il cartello di divieto all'ingresso, e portarlo via.
O forse non stupisce affatto.
Lei arriva di solito verso le otto e mezza, con un paio di amiche col cane anche loro, mentre lui attraversa il giardino per portare il figlio all'asilo.
Le ha notate perché tendono ad occupare un'area un po' appartata del giardinetto, e perché sono le uniche che almeno non tolgono il guinzaglio al cane.
Ne ha dedotto che lei non dev'essere del tutto comoda a trovarsi lì col cane, nonostante da fuori appaia invece così a suo agio in quel lungo cappotto di lana azzurra.
4. Mentre il bambino gli cammina accanto attraverso il giardinetto, coprendolo di domande per tutto il tragitto fino all'asilo, in una vasta aula della sua mente, a forma di emiciclo, si svolge ogni mattina un ampio dibattito, scatenato dalla vista dei cani abusivi e della merda che lasciano dove giocheranno i bambini.
- Se c'è un divieto esplicito, non ci dovrebbero essere cani - dice la maggioranza.
- C'è un bisogno evidente di spazio per i cani, come dimostrano le decine di presenze nel giardinetto. L'uso di consuetudine supera il divieto, e mostra che le ragioni della legge non hanno considerato il territorio reale a cui viene applicata, ma soltanto una regola astratta, imposta dall'esterno. Inoltre l'esperienza dimostra che cani e bambini convivono benissimo - è la risposta del rappresentante dei proprietari di cani.
Il dibattito prosegue infinito e incessante, con tutte le ragioni che si possono immaginare da una parte e dall'altra, nessuna che appaia decisiva.
Ne soffre soltanto il bambino, che ottiene risposte elusive e vaghe, a volte perfino del tutto fuori tema.
Allora nella testa di lui si genera una nuova domanda, che sposta il piano del discorso: "Se l'autorità non interviene, il cittadino dovrebbe?".
- Il cittadino è già intervenuto - risponde pronta la minoranza - occupando lo spazio con i cani. Quelli che vedi qui col cane sono tutti cittadini.
- No aspetta - dice la maggioranza - intervenire nel senso di far rispettare la legge!
In breve anche questo dibattito diventa sterile.
Chi può impedire ai cani d'entrare? e se si caccia un cane col suo padrone, altri ne verranno nelle ore precedenti e seguenti, facendo degli espulsi un caso isolato e sfortunato, e perfino un po' discriminatorio.
E poi: fossero questi i problemi... con tutti quelli reali che ci sono... andiamo.
Il bisogno dei cani va tollerato, conclude, semmai andrebbe sostenuta l'abitudine a pulire i bisogni degli animali, almeno al giardinetto.
- Contare sul loro senso civico? Ah aha ahah, buona questa, veramente. Ma dai!
Tutti i giorni così.
5. Un giorno lei e le sue tre amiche si chiudono coi cani dentro il campo di calcetto, dove possono liberarli dal guinzaglio, infrangendo l'ultimo taboo.
Lui che sta passando col bambino le vede, e questa volta il dibattito nella sua testa è molto più breve.
Il partito d'ordine s'impone subito, "questo è troppo!", e delibera l'intervento immediato, ma il bambino è in ritardo, non c'è tempo di mettersi a discutere.
Si va via in silenzio.
Il cappotto azzurro diventa un simbolo visivo dell'oltraggio.
L'oltraggio difficile da digerire.
Oppure, come si dice, da mandare giù, ma sono parole diverse per la stessa cosa.
6. Cosa ne pensano, i suoi amici, della situazione?
Il dialogo non si presenta facile.
Lui è quello che solleva sempre la domanda madre di tutti gli ostacoli quotidiani: il cittadino deve intervenire dove manca l'autorità?
Che lo faccia di persona, o chiamando l'autorità al telefono (figurati...!), oppure rigando automobili.
Per questo è ritenuto un estremista cavilloso.
Non c'è bisogno di farsi un'opinione su rotture di coglioni come queste, gli insegnano loro: si fa in base all'umore.
Se sei di buon umore lasci correre, che tanto non hanno ammazzato nessuno, se sei di cattivo umore te la prendi col primo che trasgredisce davanti ai tuoi occhi. Tanto è colpevole.
E' un fatto di emozioni, la legge e la giustizia non c'entrano e non ci possono entrare.
E' così.
E' così?
E' così.
- Ah... e poi...
- E poi?
- Tutti i suoi amici hanno un cane.
- Ah.
7. Un altro giorno lei è di nuovo lì, dentro il recinto del calcetto, con le sue amiche e tutti i loro cani.
Il bambino stavolta non è in ritardo.
Lo porta con sé fino alla rete. Ci si appoggia.
- Scusate, ma ci hanno messo una rete tutt'attorno apposta per proteggere il campetto per chi ci vuole giocare a calcio. Non mi sembra giusto portarci i cani. Ci giocano i ragazzini!
Ah ma noi qui, ah ma noi lì.
Ne sei sorpreso?
Beh.
Ma perché, davvero credevi che si sarebbero girate con un sorriso, ti avrebbero dato ragione con un sorriso, e con un sorriso sarebbero uscite dal campetto sotto i tuoi occhi, scusandosi?
Non sarai mica stato ibernato fino a stamattina?
Che buffo, tu avresti fatto così? Ma smettila! Giuro. Giuro? Sembri un ragazzino. Che simpatico...
Nella breve discussione con le signore ha notato una frase di lei:
- E poi scusi, li portiamo nel recinto proprio per evitare che i cani entrino in contatto coi bambini.
Fino a quel momento era stata zitta in disparte, avvolta nel suo cappotto azzurro, a guardarli con i suoi occhi da miope.
Giudica quella frase irridente e furbetta. Tipico. Tipico e insopportabile.
Forse la discussione s'è poi scaldata per questo.
Forse per questo è finita che lui ha chiesto loro di uscire urlando sempre di più.
Urlando.
E che loro hanno chiuso l'incidente con la frase storica:
- Va beh, andiamo dai, non val la pena discutere con questi. E poi siamo tutte donne, se no ti pare che veniva?
Inchiodandolo nella posizione del torto, almeno agli occhi superficiali del mondo (che però per fortuna era assente), per avere perso la calma e gridato contro un gruppo di donne e di innocui cani educati.
Suo figlio lo guarda un po' scosso.
8. - Sai, se i cani fanno la cacca nel campo da calcio, nessuno ci può più giocare - gli dice.
- Che schifo questi cani - risponde il bambino.
"Oh no!" pensa lui.
L'enorme catena di torti gli si è appena aggrovigliata al collo, strozzandolo, mentre le vere colpevoli vanno via libere e leggere.
Moralmente superiori.
Il risultato ultimo della sua stupida azione è stato di convincere il bambino di qualcosa che invece è sbagliato.
- No vedi, non sono i cani che fanno male. Loro la cacca la devono fare, ti pare?
- E già.
- Anche tu la fai ogni giorno, no?
- Sì.
- E anche i cani. Sono i proprietari che sono maleducati, perché non puliscono.
- Sì.
- E qualchevolta papà glielo dice, così se ne possono ricordare.
- Già.
Il bambino ha capito, ma la catena di menzogne s'è un po' allungata.
9. La incontrano ancora.
Ogni mattina.
Il gruppetto distoglie gli occhi e anche lui.
Ha notato che non portano più i cani nel recinto del calcetto.
Una mattina lei è da sola col suo cane, nel suo lungo cappotto azzurro.
Lui forse è distratto, o stanco, oppure ha dimenticato l'episodio, in fondo è già passata qualche settimana.
Insomma, incrociandola nel giardinetto, la guarda come ci si guarda in queste zone franche, con cani al guinzaglio e bambini piccoli per mano: un po' più a lungo del solito, e con l'espressione più distesa.
- Salve! - gli fa lei tutta allegra.
Direbbe perfino con simpatia.
Per un attimo gli viene il dubbio di sbagliarsi: la ricorda in relazione all'episodio del cane, ma evidentemente è un errore, dev'essere la madre di qualche compagno di suo figlio.
- Salve! - risponde con un sorriso.
E' il tuffo al cuore, un'emozione molto forte, che lo avvisa senza ombra di dubbio che lei è una di quelle dello scontro.
E' proprio insolente, pensa di lei, non si stupirebbe se avesse un gippone e lo parcheggiasse un po' dove le capita.
Quello scambio di saluti gli ha lasciato un sapore forte in bocca.
10. Pensa al sapore che gli è rimasto.
E' rimasto anche a lei, dopo lo scontro?
Se così è, lo ha digerito bene.
Da quello che è appena successo si direbbe che l'incidente li ha avvicinati, invece di separarli.
Avvicinati?
Lei adesso può mostrare di riconoscerlo, e non fa niente per nasconderlo.
E lui ricambia il saluto, su questo non ci sono dubbi.
Per forza, sono una persona cortese.
E lei allora dev'essere altamente civile. Ha trasformato un errore in un'opportunità.
E il cane allora?
Lunghi dibattiti anche qui. Conclusione: per le donne è più facile.
Deluso dalla conclusione? Abbastanza.
Comunque è così.
E' così?
E' così.
Lei adesso si prepara a salutarlo da molto prima che siano a portata di voce.
Lui se ne accorge benissimo. La vede iniziare a sorridere.
Sembra addirittura l'espressione di un piacere intimo: lei non si prepara a salutarlo, è contenta di vederlo.
Si sarà accorta che lui ha tentato di evitare di riconoscerla per non salutarla, e ne avrà sorriso.
Sembra dal suo atteggiamento che ne abbia provato simpatia.
Non ci sono ragioni che lui le neghi un saluto, dopo averle sorriso così caldamente la prima volta, e quindi continua a farlo.
11. Per lui è una situazione paradossale.
Sta imparando qualcosa.
Niente di esplicito, niente di espresso, eppure non per questo intangibile.
E' chiaro che per lei, loro due adesso si conoscono, non importa come sia avvenuto.
Per la verità adesso non importa nemmeno a lui.
L'incontro e il saluto, con la sua relativa difficoltà e con la sua storia controversa, sono un piccolo piacere al quale gli dispiacerebbe rinunciare.
E' per causa sua, di lei?
Sì e no.
No nel senso che non c'entra nulla con quello che vede dentro il suo lungo cappotto azzurro.
Sì nel senso che è abbastanza onesto da riconoscere che lei lo sta conducendo da qualche parte, e avere una guida fa piacere.
Non trova che lei lo sia, una guida, proprio per le sue virtù più spregiudicate?
Credevo che la parola "spregiudicato" appartenesse ad un altro secolo, davvero.
Forse hai ragione.
Insomma possiamo mettere da parte gli emicicli?
E che facciamo, lasciamo che tutto scorra così?
Già.
Non ti lamentare poi, se quelli portano i cani dove cazzo gli pare.
Sorriso.
Sorriso.
Ma tutta questa roba, come si manda giù?
Come ha fatto, lei?
Come FA, lei?
12. Si instaura una certa routine.
Si incontrano, lui si accorge che lei s'è accorta che lui sta per incrociarla e che si prepara, lui è pronto da tempo; ha misurato con precisione il grado di calore del sorriso che è disposto a mandarle.
In breve la vicenda sta per essere inghiottita dalla città e trasformata in macerie, avanzi, scarti, polvere.
Le scoperte che lui crede di avere fatto vacillano alla prima verifica.
Incontra un'altra delle signore del gruppetto, e saluta anche lei con la stessa calda franchezza che ha imparato da quella col cappotto azzurro.
L'altra però abbassa di proposito lo sguardo, indicando chiaramente che pensa "come ti permetti"?
Ah ecco.
Allora lei...
Forse lei avrebbe voluto dire qualcosa.
Lui si rimprovera di avere lasciato che s'instaurasse una routine.
O forse è contento di avere lasciato che succedesse.
O tutt'e due insieme.
La verità è che lui continua ad assaporare questo cibo, ma non lo trasforma.
Quegli incontri sono un nutrimento, non lo nega nemmeno, ma non li assimila: restano fuori di lui, a farsi chiamare "eventi", a dargli l'impressione di essere fuori dal suo controllo, di appartenere ad un mondo che gli piace credere onnipotente e ricco di risorse, e che nonostante questo si è accorto di lui.
Cosa c'è più di questo?
Vorrebbe da lei qualcosa di diverso da tutto questo? Francamente no.
Non lo vuole o non sa immaginarlo?
13. Sono circa le otto e mezza di mattina.
Si incontrano al parco.
Lei tiene al guinzaglio un cane, lui per mano un bambino.
Tra poco si incroceranno, lui anticipa con gusto la routine.
- Salve - le dice sorridendo come al solito.
- Ciao - dice lei, con calore ma stavolta senza sorridere.
14. Dopo un breve scambio lui lo ammette:
- Sei sconvolto?
- Sì.
- Va bene.
La piccola variazione d'intimità l'ha sorpreso a morte.
Vorrebbe vomitare tutto su un foglio di carta.
Vorrebbe essere adolescente di nuovo, quando sarebbe stato ore a scrivere su un foglio quello che gli passa per la mente, e quello che gli è successo, senza regole, senza legami, senza conoscenze.
Per assaporare fino in fondo quello che prova e forse anche per liberarsene.
Non scrive una riga, invece, e si mette a provare a digerirlo.
- Voglio avere fiducia in lei - si dice.
- Questa non è fiducia, è desiderio - gli rispondono dall'emiciclo.
E con "andamento digestivo" siamo al secondo libro. Libro come lo intendo io, come sto provando a definirlo. Faccio a pezzi volentieri la mia ipotesi di partenza: che tu fossi incapace di "pensare per libri". Non lo sei - d'altronde lo sapevo. Era un'ipotesi dialettica, come si dice. Ah. Bello questo che hai scritto. Molto difficile per me da penetrare, ma non importa: prima o poi riuscirò a scardinarlo. Forse anche tu, prima o poi :)
Scritto da: untitled io | 13/02/2004 a 08:32
Ah. Ho detto secondo, non terzo, perché "quell'altro" non si vede più. "Quell'altro" si è perso, forse? è stato lasciato nell'altra casa? o si sta semplicemente diluendo in questi due?
Scritto da: untitled io | 13/02/2004 a 08:38
Mi lascio trasportare da quello che scrivo, untitled, ma non nel senso romantico del trasporto. Lascio che la scrittura mi porti verso un oggetto, che di solito al momento di cominciare non conosco e non immagino. Dopo qualche giorno mi rendo conto di cosa ho scritto. E se ci riesco riparto da lì. Ma non sempre ci riesco: mi serve tempo, perché non sono preparato a ricominciare da lì. Nulla è perso, quindi, e neanche abbandonato. Non per questo riesce ad emergere. Però ho una certa fiducia, ricomincerò a scriverne e lo metterò qui. "Molto difficile da penetrare" mi interessa come commento, mi piacerebbe saperne di più. Fai tu. palmasco
Scritto da: palmasco | 13/02/2004 a 11:48
Spesso, a proposito di linguaggio, mi attribuisci una sorveglianza che non mi accorgo di avere. Perché ho usato “penetrare” e non, per esempio, capire? “Entrare dentro” cioè, e non “prendere”? Boh. Non so dire affatto perché l’ho usato. So solo che era proprio quello che volevo dire, e infatti l’ho detto. Dunque, come sempre a posteriori: penetrare dove? A memoria e a caso: nella qualità della stoffa del cappotto azzurro, che è cosa buona e bella, ma anche cosa che ha a che fare col privilegio – penetrare negli abissi della parola privilegio, che promette certe cose per finire a offrirne altre, tutte diverse dalla promessa. Penetrare nella mitezza che esplode dai dialoghi (dialoghi con amici, dialoghi fra sé e sé) così come li hai riportati. Può “esplodere” la mitezza? può esplodere come esplode il mite signore-con-bambino quando grida attaccato alla recinzione? penetrare in quell’esplosione, vedere che non porta nulla. Penetrare nella strana constatazione, che tutti i suoi amici hanno cani. Nell’arrendersi all’evidenza di non potersi “opporre”. Penetrare tipo sonda in tutto questo, per poi uscire e dire cosa si è visto, e soprattutto se si è visto l’intoppo nel canale di digestione. Sì l’ho visto. Non bene però. Qualcosa di informe ancora. Secondo me, ripeto, in quell’intoppo ci sta il privilegio: quello tuo e quello degli altri. Un’ammirazione e un fastidio profondi per la figura del “privilegiato”. Il privilegio di fottersene, e il privilegio di saper leggere gli sguardi. Il privilegio di decidere degli umori e dei comportamenti del giorno, e il privilegio di saper aderire a un mutamento. Ne ho messo uno per la donna col cappotto e uno per te, uno per lei e uno per te, non a caso. Perché il privilegio, da qualunque parte stia, porta scompiglio. Anzi, propriamente: è indigeribile. E difatti la persona mite finisce sempre per arrendersi, al privilegio. Sta lì la mitezza: nel non opporsi all’esercizio di un privilegio, pur riconoscendone l’assoluta iniquità. Ma a questo punto mi viene in mente un’altra cosa, che apparentemente non c’entra nulla: “beati i miti, perché erediteranno la terra”. La terra. Ciò che vediamo, il luogo in cui viviamo, tutti i territori saranno ai “miti”. Non è incredibile, per chi al privilegio si è sempre arreso, sapere di essere destinato a un tale privilegio? I miti non possono “usare” niente, ma un giorno disporranno di tutto. E’ per questo che penetrano senza capire, entrano dentro senza prendere (bel sermone oggi, untitled, complimenti!). Strano poi, però, pensare al ciclista di “ruote sottili” che sputa sui parabrezza… Mi sa che hai un problema.
Scritto da: untitled io | 13/02/2004 a 17:29