1. In un campetto alla periferia della città, un uomo gioca col cagnolino.
Poco spazio, il terreno è sconnesso, pieno di buche, il pallone ha rimbalzi assurdi, imprevedibili.
L'uomo lo calcia in aria con energia, dopo il primo rimbalzo il cagnolino cerca di afferrarlo.
Lo tocca con la punta del naso, ma non può morderlo, il pallone è troppo grande.
E' un cagnolino giovane: a ogni salto le zampe si tendono e sfarfallano, la spina dorsale si contorce dietro i rimbalzi.
Un cane più adulto, esperto, piazzerebbe sempre il naso sul pallone come fa il cagnolino, ma farebbe molti meno movimenti accessori.
Il pallone rimbalza a lungo, sei, sette, otto volte.
Il cagnolino è sempre col naso sulla traiettoria, come se fosse di gomma anche lui: su quel campo non è facile.
Non si smetterebbe mai di guardarlo giocare.
Come fa a seguire con tutto se stesso l'imprevedibile?
2. Raccontano che gli avversari gli cadevano davanti come birilli.
Era un nanetto cicciotto, ma in campo nessuno riusciva a togliergli il pallone.
A Napoli ha lasciato un segno che la città ricorda ancora.
Bisogna dire che l'ha lasciato ovunque abbia giocato.
Il nome Maradona: naturalmente.
Come faceva uno piccolino come lui, non particolarmente veloce, a lasciare sul posto gli avversari; a saltarli come birilli, come si ricordano a Napoli?
3. Faccio giocare mio figlio a pallone, ha sette anni.
Per la maggior parte del tempo lo faccio divertire, annullando la mia maggiore età ed esperienza, le risorse del mio corpo nettamente avvantaggiato sul suo.
Ogni tanto invece mi impadronisco del pallone e gioco con lui al limite estremo delle mie capacità, come il torero contro il toro.
Mi esibisco nei dribbling più spettacolari e rischiosi che conosco, come ricordano che faceva Maradona.
Contro un bambino è facile, vero, ma io spero di dargli in diretta l'entusiasmo del numero calcistico; che un giorno si metta a cercarlo anche lui, per averlo visto una volta dal vivo: non m'importa che si metta a giocare così, in realtà, m'importa che riconosca un grande giocatore quando lo vede in campo, e ne provi piacere.
E che questo piacere lo renda sportivo, cioè giusto pur essendo appassionato.
Colpire la sua immaginazione sta diventando sempre più difficile.
Lui diventa più bravo e più veloce, ed io non ho la tecnica necessaria a incantarlo ancora per molto.
Finchè dura funziona così: io lo sbilancio con una finta, appena lui poggia sul piede sbagliato, parto dall'altro lato, al passo, senza usare la mia velocità.
Lo sfilo con una veronica lentissima, come secondo Hemingway sanno fare soltanto i grandi toreri gitani, e non c'è dubbio che il senso della prodezza gli arrivi dall'esecuzione lenta e inesorabile del mio movimento, se gli arriva.
Lui sa che non è la mia velocità da adulto ad averlo vinto, ma l'ideazione della figura poi realizzata.
La palla torna a lui prima che il suo orgoglio venga anche soltanto sfiorato, o la sua pazienza disturbata.
Nel momento che avvio la veronica, io vedo il movimento del suo corpo a velocità maggiore di quanto si muova, e quindi posso bruciare i suoi movimenti come se vedessi nel futuro, come certamente faceva Maradona con i suoi avversari.
L'unica differenza è che i suoi avversari erano fior d'atleti, più alti e muscolosi di lui, e più veloci.
Eppure di colpo, mentre avvio la veronica che trafiggerà mio figlio, capisco come fa Maradona.
E' come se lui vedesse i movimenti del corpo dell'avversario con maggiore sapienza della nostra, forse la stessa del cagnolino che mantiene il naso sul rimbalzo irregolare del pallone.
Per sapere che mio figlio è partito verso sinistra, per esempio, io ho bisogno di percepire un certo livello di piega del ginocchio, che mi dice che il suo movimento non è più reversibile, ed io posso andare via a destra senza problemi.
Ecco, capisco che Maradona si rende conto del movimento del suo avversario molto prima di me, da un segno antecendente e temporalmente precedente a quello del ginocchio che vedo io.
Non so, qualcosa come la percezione di un certo angolo dell'anca per esempio.
E' come se Maradona conoscesse alla perfezione l'origine del movimento negli uomini, e la sua determinazione.
Anche se era meno veloce di loro, lui era in grado di vedere, molto prima che lo facessero, i segni fisici di quello che avrebbero fatto, e di procedere quindi per un'altra direzione, anche se probabilmente non può verbalizzare tutto ciò.
A differenza del cagnolino, che con le sue peculiari conoscenze sul movimento si limita a seguire il pallone che rimbalza, Maradona ha un'intenzione: raggiungere col pallone un certo punto del campo.
Questo implica che deve in qualche modo "digerire" le sue conoscenze, e sputare fuori una soluzione in tempi brevissimi.
Cosa potremmo dire del suo apparato digestivo delle percezioni?
4. Palmasco si sveglia tramortito: ha sognato.
Sono sogni che si ripetono a breve distanza l'uno dall'altro, trattano sempre della difficoltà di accesso al cibo: ce n'è poco, oppure è fuori portata, oppure è di qualità non commestibile perché scaduto da tempo, oppure viene offerto a prezzi non accessibili. Cose così.
Nel periodo di questi sogni è costantemente alle prese con l'idea della sua carriera.
Non ha avuto lo sviluppo che avrebbe desiderato, e neanche quello che all'inizio avrebbe considerato un grado base di soddisfazione.
Si rende conto che sono necessari dei cambiamenti, ma non sembra facile reagire, spesso non saprebbe cosa poter fare di diverso da quello che ha fatto, e deve anche considerare, con sano realismo, che per lavorare meglio il momento storico non è dei migliori.
E' preoccupato.
Gli sembra allora che i sogni vengano per parlargli della sua principale preoccupazione.
Un pensiero leggittimo.
L'intangibilità del cibo nei sogni, come metafora delle occasioni che non si presentano, o che si presentano senza essere veramente disponibili o afferrabili.
La metafora funziona, l'associazione sembra compatibile, Palmasco costruisce discorsi e ragionamenti, intavola scambi con amici e associati.
Ma nella sua carriera non succede niente e i sogni tornano a ripetersi, segno di un contenuto che non è stato toccato.
Di colpo anche Palmasco si mette a pensare a Maradona, e alla digeribilità delle sue informazioni rispetto a quelle del cane, per esempio, per restare nella stessa classe superiore di velocità di reazioni.
La metafora dei sogni allora per lui cambia faccia.
Palmasco non pensa più che il cibo nei suoi sogni sia un'analogia di tipo naturale, cioè con un mondo dove le occasioni mancano o non sono veramente disponibili, ma pensa che il sogno nel suo complesso descriva una difficoltà a digerire il cibo, cioè a farne uso.
Non è il cibo a mancare, e il sognatore ne dispone, pensa Palmasco, ma non ne usufruisce.
Come si direbbe di cibo ingerito ma non digerito.
Eccoli, allora, i giornali e i libri e le conversazioni, le mostre e i dibattiti gli opuscoli e le associazioni e tutti gli approfondimenti che di certo non si fa mancare.
Sono cibo disponibile e di buona qualità.
E' l'apparato digestivo che non riesce a processarli, ad utilizzarli.
E allora il sogno, se proprio lo vogliamo riferire al sognatore, conclude Palmasco, segnala un problema a livello degli organi digestivi - delle informazioni.
6. Gli tornerebbe utile una lunga telefonata a Maradona, e non è detto che un giorno non la faccia.
Chi può dirlo?
Oppure uno stato mentale "no mind", come quello che si suppone abbia il cane, che gli permette (al cane) di seguire la realtà punto a punto con successo, senza che abbia alcuna nozione di reale.
Oppure, come ultima risorsa, qualche domenica di palleggi con mio figlio, finché non sarà cresciuto abbastanza da costringerlo a ritirarsi in attività meno esuberanti.
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